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Curiosita’ sul Carnevale

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Descrizione

Ti conosco mascherina!

L’espressione “Ti conosco, mascherina”, che oggi significa che nonostante le apparenze non ci siamo fatti ingannare, ha origini antiche e risale al Medio Evo, quando grazie al travestimento, nel periodo di Carnevale, il popolo aveva l’occasione di rovesciare i ruoli, anche se solo per qualche giorno e per gioco, della rigida società del tempo. Una volta, infatti, il travestimento aveva uno scopo ben preciso che oggi è andato perduto: nascondendosi dietro ad una maschera e celando in questo modo la propria identità ciascuno aveva la possibilità di comportarsi come meglio credeva e, soprattutto, come non avrebbe mai avuto il coraggio di comportarsi a viso scoperto.

La nascita del coriandolo

Molto tempo fa i coriandoli erano fatti con i semi di una pianta chiamata, appunto, “coriandolo”. Questi semi venivano tuffati nel gesso e poi lasciati seccare. Così assomigliavano a confetti, fatti apposta per essere lanciati dall’ alto dei carri mascherati o da balconi e finestre. I primi coriandoli di carta furono forse inventati da un milanese che li distribuì ad una festa di carnevale per bambini.

La storia delle maschere

La maschera (dall’arabo “mascharà, scherno, satira) è sempre stata, fin dalla notte dei tempi, uno degli elementi caratteristici e indispensabili nel costume degli attori. Originariamente era costituita da una faccia cava dalle sembianze mostruose o grottesche, indossata per nascondere le umane fattezze e, nel corso di cerimonie religiose, per allontanare gli spiriti maligni. In seguito, dapprima nel teatro greco, successivamente in quello romano, la maschera venne usata regolarmente dagli attori per sottolineare la personalità e il carattere del personaggio messo in scena. Ma l’uso della maschera che interessa questa necessariamente sommaria introduzione si riferisce propriamente a quel fenomeno teatrale, fiorito in Italia nel corso del XVI secolo e affermatosi prepotentemente in quello successivo, comunemente noto come “Commedia dell’Arte”. Uno dei primi “temi”, estremamente elementare e naturale, oggetto di rappresentazione nelle primitive forme della commedia “a soggetto”, è la “beffa del servo”, una sorta di ingenua e innocua rivincita concessa dalla fantasia popolare all’umile nei confronti del potente. Innumerevoli sono le rappresentazioni, specie sui palcoscenici della decadente Repubblica veneziana, che hanno come tema il contrasto tra il servo zotico (lo “Zanni”) e il padrone vecchio e rincitrullito (il “Magnifico”). La fortuna del contrasto, le varie forme in cui si manifesta, fanno sì che il personaggio dello Zanni subisca continue, interessanti e sostanziali modifiche, e che si caratterizzi variamente, rendendosi sempre più simpatico e variegato: questo spiega la presenza, nella tradizione giunta fino a noi, di tante maschere rappresentanti parti di servitori, dal celeberrimo Arlecchino all’intelligente Scapino. A proposito di Arlecchino, ci sembra doveroso ricordare quell’autentico genio della Commedia dell’Arte che nobilitò le scene nella seconda metà del XVI secolo e, partito con l’interpretazione dello stereotipo personaggio del servo Zan Ganassa, nel 1572, in terra di Francia, per la prima volta attribuì alla maschera il nome di Zanni Arlecchino. Le continue e salutari mutazioni a cui fu soggetto il personaggio dello Zanni portarono inevitabilmente alla distinzione fra servo furbo e servo sciocco, chiamati “primo” e “secondo” Zanni. Arlecchino, Burattino, Flautino e il famosissimo Pulcinella facevano parte del secondo gruppo; Brighella, Beltrame, Coviello, Zaccagnino, Truffaldino, Pezzettino, Stoppino del primo. Un posto di primo piano è riservato alle maschere dei “vecchi”, il cui capostipite sarebbe il “senex” della commedia latina. I “vecchi” generalmente erano due, ma non portavano sempre e dovunque lo stesso nome; perlopiù furono conosciuti l’uno sotto il nome di Pantalone e l’altro di Dottore, Dottor Graziano o Dottor Balanzone. Altra maschera fondamentale era quella del Capitano, soldataccio spaccone, vanaglorioso, violento e pavido, altrimenti noto come Capitan Spaventa, Capitan Rodomonte, Capitan Matamoros , Capitan Spezzaferro, Capitan Terremoto, Capitan Spaccamonte, e via di questo passo. In questa maschera si è voluto vedere una caricatura feroce del soldato spagnolo che, nel periodo di tempo in cui fiorì la Commedia dell’Arte, spadroneggiò in quasi tutta la penisola. Accanto alle maschere che rappresentavano i personaggi principali e indispensabili in ogni commedia, si aggiravano altre maschere, spesso doppioni, derivazioni delle prime con mutazioni o correzioni non molto indovinate: a volte non era mutato che il nome, altre il dialetto che la maschera parlava. I Pandolfi, gli Ubaldi, i Cola, i Burattini e i Pezzettini ebbero giorni di relativa gloria nel XVII secolo, dopo di che scomparvero. E, dal momento che ci siamo lasciati andare in una carrellata, fugace ma abbastanza organica, dei personaggi della Commedia dell’Arte, ci sembra giusto concludere ricordando quelle astute servette, altrimenti chiamate “fantesche”, preposte alla salvaguardia dell’onore di spesso scialbe padroncine. Tutti questi straordinari personaggi sono riusciti a sopravvivere alla morte del teatro al quale pur debbono la vita, perché riconosciuti degni di rappresentare ciò che di più caro le città italiane avevano nel cuore, le tradizioni domestiche, la parlata popolaresca, lo spirito delle antiche cose. E ancora oggi continuano a rallegrare i nostri Carnevali.

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